Ai miei tempi, che non sono poi tanto lontani, al mio
paese non c’era la tradizione di Babbo Natale, o meglio, se c’era, non era come il Babbo Natale
di oggi, che va a trovare i bambini in tutte le case, nonni, bisnonni e
zii compresi. Era un vecchietto un poco distratto, di quelli allegri e sorridenti ma con la testa sempre tra le nuvole, sicuramente andava oltre il là con gli
anni; il pancione ben in vista e il naso sempre rosso per il freddo e forse, detto tra noi, per qualche goccetto di troppo, che all'allegria fa sempre bene. La sua memoria era ballerina, dondolava come le
altalene dell’Estonia nel fantastico padiglione di Expo 2015, e di bambini ne
ricordava pochi, a malapena.
Ma non era un problema molto grave perché per i bambini dei miei tempi, a scuola
arrivava la Befana. Spesso era l’ultimo giorno di scuola, prima delle vacanze di
Natale e lei, di bambini non ne dimenticava nemmeno uno. Da brava signora organizzata e puntigliosa usava gli elenchi del comune e quelli erano sempre molto precisi. Ma
la cosa strana è che non si trattava di una vera e propria Befana, cioè mica
era vestita da streghetta, tutta rugosa e a cavallo di una scopa. No, era
tutt’altra cosa. Spesso, dati i suoi molti impegni, non era nemmeno lei a venire, ma
delegava qualcun altro. A volte si faceva aiutare dal sindaco in persona, altre
volte faceva recapitare un biglietto da persone a noi conosciute, che non
arrivavano dal Polo Nord ma vivevano molto più vicino a noi, alcuni nelle
nostre stesse case. Il biglietto era prezioso, conteneva un codice o una
lettera dell’alfabeto a cui sempre corrispondeva un regalo. Sempre!
Può sembrare un po’ buffo, lo so. Mi si dirà: ma allora perché si chiamava Befana? Si
chiamava così e basta! Non lo so il perché, e sinceramente prima d’ora non me lo
sono mai chiesta, né mi sono mai preoccupata del suo strano aspetto e del suo arrivo
anticipato.
I suoi doni raramente deludevano. Per le bambine c’era spesso una bambola, e per i bambini una macchinina telecomandata, ma anche giochi di società, sapientino e mattoncini colorati.
Io ho ricevuto sempre bambole. Ma per intenderci, si
trattava comunque di bambole speciali, diverse una dall’altra.
Un anno, non ricordo se in terza elementare, la Befana mi
fece recapitare un biglietto colorato di rosa con impresso un codice un po’
strano: portò in regalo una bambola speciale. Anche se "speciale" non fu esattamente il mio primo pensiero di allora.
Era una Bambola Nera. Nera dico
bene, cioè scura, color cioccolata al latte, nemmeno fondente come piace a me. E io non
avevo mai visto una bambola così prima di allora. Anzi, forse non avevo mai visto
nessuno di quel colore.
In classe, tra compagni si facevano sempre i sondaggi di soddisfazione
sul regalo ricevuto. Ora, come spesso accade in questi casi, soprattutto tra
bambini, quello degli altri è sempre più brutto o più bello, ma mai uguale al
nostro.
Solo una volta a casa, al riparo da occhi pettegoli, quel
regalo diventava speciale, come i ricordi migliori a cui diamo valore solo con
il passare del tempo. Come ho già detto, Babbo Natale era un po’ distratto e
non riusciva a raggiungere tutti in un'unica notte. Per molti di noi, quindi, quello
della scuola era l’unico regalo!
Più importante di Babbo Natale era per noi il caro e vecchio
San Nicola, che durante la notte tra il 5 e il 6 dicembre si intrufolava con il
suo sacco carico di nocciole nelle case di tutti i bambini del paese, sul
metodo esistono diverse versioni, ma certamente danni a porte e finestre non ne
faceva mai. Lasciava i doni in una scarpa consumata che noi piccoli già da
giorni sistemavamo dietro l’uscio di casa, e prima di andare a dormire, quella
notte… ragazzi che emozione, il cuore andava a mille per l’attesa. E non credo
fosse tanto per i doni, era la magia di quella notte, a renderci felici. San
Nicola non portava giocattoli, lui portava le nocciole. Che pure diventavano un
gioco, a cui noi bambini eravamo molto affezionati, il gioco dei castellucci.
Si costruivano tante piccole torrette con le nocciole e poi a turno con una
stessa nocciola si tirava nella loro direzione cercando di abbattere il castelluccio
dell’avversario, chi riusciva nell’impresa aggiungeva le nocciole dell’altro al
suo gruzzolo, aumentando così la sua ricchezza, e si giocava finché l’avversario
non rimaneva senza nocciole, il che voleva dire anche intere giornate di battaglie.
Dentro la scarpa a volte spuntava anche un cioccolatino, un
torroncino o una susumella e, solo di rado, una banconota da mille lire,
massimo cinque se si era davvero fortunati. Poi, succedeva anche che i genitori
venivano a chiedertela come anticipo sulle spesucce di casa non appena se ne
presentava il bisogno. Perché quando si era a corto, in casa mia, si veniva a
chiedere a noi figli se avessimo messo da parte qualcosina. E noi eravamo ben felici
di far vedere il nostro malloppo, perché, avevamo sempre qualcosina. La
promessa naturalmente era la restituzione del prestito non appena possibile, il
che poteva essere subito oppure poteva scivolare via e perdersi con il tempo.
Ma, non ci importava molto, perché in quel momento, solo in quel momento, noi eravamo
considerati grandi e quel piccolo contributo alla gestione familiare ci faceva
sentire indispensabili. Una volta era piuttosto facile trarre in inganno i
bambini…provateci ora a fare una cosa del
genere?
Al ricordo di quella notte ancora mi emoziono, ma ancora di
più mi emozionano gli occhi felici dei miei figli, quando quella mattina si
svegliano all’alba per controllare le scarpe lasciate dietro la porta per
l’arrivo di San Nicola, che naturalmente sono piene di nocciole, ma come vuole
la tradizione dello scorrere del tempo, non solo di quelle. Mi rattrista sapere
che presto la loro gioia si attenuerà, ma in un angolino della loro anima spero
conserveranno sempre l’emozione di questa notte magica. Ahimè, purtroppo nelle fasi della vita alle
favole è destinato uno spazio troppo breve, e per quanto io mi sforzi di farle
durare il più possibile, so che presto dovrò lasciarle andare.
Come dicevo prima di perdere il filo, per la prima volta, perché so già che succederà di nuovo, quel Natale la mia
Befana portò una bambola in dono, una Bambola Nera. Naturalmente i sondaggi dei
compagni decretarono che il mio era il regalo più brutto di tutti. In quei
momenti in classe, non mi rimase che ingoiare uno dietro l’altro i magoni che stringevano la gola e fingere totale indifferenza. Buttai la bambola nello zaino
e sperai di tornare a casa il più presto possibile, solo in solitudine avrei
potuto riflettere sulla cosa e versare tutte le lacrime che mi salivano dalla
pancia. Forse ero stata molto cattiva. In effetti, buona buona non lo ero stata, anche San Nicola, insieme alle nocciole aveva lasciato un carboncino. Certamente
lui e la Befana si erano messi d’accordo per darmi una punizione esemplare. Dopo
aver giurato a me stessa di essere migliore, presi la bambola dallo zaino e la
osservai con attenzione, e che sorpresa… non sembrava più così brutta. Le palpebre si aprivano
e si chiudevano da sole non appena le sfioravo con le dita, e già quella era una magia. I suoi occhi erano neri,
tristi e lucidi, come bagnati da lacrime trattenute. Di quella tristezza, che
era in quel momento anche la mia, mi innamorai all’istante.
Malgrado il suo strano colore, scoprì che quella bambola a
me piaceva, e pure tanto. La mia mamma, anche lei si stupì un poco, ma mi propose subito
di cucirle un nuovo vestito. E così, presa da nuovo entusiasmo iniziai i
lavori per il rinnovo del suo misero guardaroba. Trascorsero tra aghi,
fili e stoffe colorate i giorni spensierati delle vacanze natalizie, sempre in
compagnia della mia nuova amica, cui presto imparai a voler bene in modo
assoluto. Anche se negli anni ne arrivarono di altre, lei rimase sempre nel
cesto dei giochi, maestosa, pulita e composta nei suoi colorati abiti nuovi.
La portavo con me ovunque, in braccio o in una carrozzina di
legno che mio padre costruì appositamente per lei. Forse è stata una
delle poche volte che ho giocato davvero con una bambola e che non mi sono
limitata a distruggerla come facevo con le altre, persino le macchinine, che
invece toccavano in sorte a mio fratello, si erano salvate con l’arrivo della mia
Bambola Nera.
Ma nonostante l’affetto che provavo, non le diedi mai un nome.
In verità non sono mai stata brava a scegliere i nomi. Nominare
le cose le rende conosciute e quindi meno misteriose, poi le rende tue per
sempre e io con i per sempre ho davvero un po’ di problemi. In più, tutti i
possibili nomi mi suonavano strani, come non adatti a lei. Ero una bambina di sette
anni, non conoscevo ancora la musicalità delle lingue del mondo, la loro
originalità, la fantasia, né tantomeno conoscevo le sfumature dei colori delle genti.
Ciò che la mia ragione di bambina non capiva, o meglio non accettava, non era il
suo colore, o il fatto di non riuscire a darle un nome, ma il suo aspetto, in
particolar modo i suoi capelli e il suo vestito: perché dovevano essere così
brutti?
Perché, vi dirò, erano davvero brutti, il vestito era quasi
uno straccio, a quadretti bianco e blu come le tovaglie di quelle osterie impantanate
in un tempo che non tornerà più, povere anche del più minimo desiderio
avveniristico.
Le altre bambole, quelle “bionde” intendo, erano sempre ben
vestite, abiti da principessa, con veli di tulle ricamati e pomposi, capelli lunghi
e biondi, belli da pettinare, da lavare, da acconciare con spazzole dalle
setole morbidissime.
La mia invece, aveva capelli corti e neri, ricci o meglio crespi,
impossibili da pettinare o da acconciare. Erano attaccati alla testa in un modo
alquanto disordinato. E anche se il viso era bellissimo, la fronte larga e
spaziosa, gli occhi neri, grandi e scintillanti, che si chiudevano, per
davvero! i capelli continuavano a rimanere un vero disastro.
Per il vestito come ho detto, io e la mamma avevamo
rimediato subito. Mi ritenevo una sarta piuttosto ingamba. Ritagliata la
stoffa, misurata ad occhio sulla bambola, ne uscì un abitino se non perfetto
ben composto. Rosso come le sue labbra, che con i miei pennarelli avevo reso
ancora più brillanti, smanicato, perché più facile da realizzare e, molto,
molto lungo. Aveva bisogno anche della biancheria, perché la mia mamma diceva
che la schiena e il culetto vanno sempre coperti. Le mutandine erano quelle che
mi riuscivano meglio, le camice un po’ meno, ma sempre meglio puliti e mal
vestiti che sporchi e nudi. Realizzai diversi outfit, così da poterla cambiare
spesso, come la più bella delle principesse.
Ma quei capelli… come le cose incomplete che stanno lì a
darti il tormento, rimanevano la mia disperazione. Mi prudevano le mani dalla
voglia di sistemarli. Scoprì che fasciati le stavano bene, così cucì molte
fasce di colori diversi, abbinabili ai vestiti. Ma niente, non ero soddisfatta:
io volevo pettinarli!
Decisi così di provarci. Ahimè, quel riccio si trasformò subito
in una lana crespa e impossibile da vedere. Impossibile soprattutto da
rimettere a posto, li avevo rovinati. Allora m’improvvisai anche parrucchiera.
Io, che due ciocche insieme non le ho mai sapute mettere, feci un bel taglio
che li avrebbe riportati corti. Ben presto persi il controllo delle forbici e la
mia principessa nera rimase senza capelli.
Avevo una bambola nera, con vestiti favolosi, ma senza i
tanto desiderati capelli, costretta ad uscire sempre con un fazzoletto sulla
testa. Che a detta della mamma le stava benissimo. Ma io sapevo ciò che
nascondeva e non ero per niente contenta di aver dato sfogo alle mie mani.
Nonostante ciò non la abbandonai dopo averla sfigurata, non la smembrai delle
sue preziose parti come avevo fatto con le altre. Forse ancora si trova in
qualche scatolone in giro per casa, mia mamma ha la mania di conservare tutto.
Ogni tanto la vediamo tirare fuori reperti archeologici che io e i miei
fratelli avevamo sepolto in angoli di memoria resi impraticabili dal tempo: mia
mamma, ha nascondigli sparsi ovunque in casa!
La bambola nera è l’unico regalo di quella strana Befana che
ricordo ancora oggi. Questo per dire l’importanza che ha avuto per me. E forse,
ma senza certezza assoluta, il suo arrivo nella mia vita ha determinato alcune
delle scelte fatte negli anni della maturità, di certo dopo di lei il mondo
altro è diventato meno estraneo. Ma solo Freud potrebbe dire se esiste una
connessione tra lei e quello che dopo di lei c'è stato nel mio futuro.
Oggi non è più così. La Befana non arriva l’ultimo giorno di
scuola, non ha più come aiutante il sindaco, non è più nemmeno un codice
recapitato chissà come. Per diversi anni è stata sostituita da uno dei tanti aiutanti
di Babbo Natale che, come l’originale, era vestito di rosso e indossava una vaporosa
barba canuta.
Questa novità sconcertò non poco i bambini abituati da tempo
a ricevere i regali dal Babbo vero, quello che arrivava la notte del
venticinque, e che nel frattempo era diventato più prudente. Forse che ha
iniziato a curare la memoria, perché oggi di bambini ne dimentica davvero pochi, anzi
direi nessuno. Deve aver comprato un iPad su cui tiene un’agenda ben
organizzata dai folletti, con tutti i fusi orari del mondo. Non solo, riceve anche le lettere,
meglio se e-mail, direttamente al Polo Nord riuscendo così a soddisfare ogni
richiesta…beh quasi sempre, quando proprio non può cerca di avvicinarsi il più
possibile.
Allora la domanda imbarazzante era sempre una: mamma, papà, ma qual è quello vero? Aiuto!
Ho l’impressione che nel semplificare il mondo per renderlo alla portata di
tutti, abbiamo complicato di un mondo la vita. E le Favole, le mie adorate
Favole in questo mondo sembrano non trovare più spazio. Semplice è certamente
bello, semplice è certamente meglio, semplice è certamente niente per noi
genitori moderni. Il rapporto con i figli si è trasformato in un continuo arrancare
su una strada che scorre veloce e che anche noi percorriamo per la prima volta.
Si cerca di conservare loro un po’ di magia ma a che prezzo? Sembra non
bastarci mai nulla. Eppure c’è cosi tanto intorno a noi! Alla fine ci si
ritrova a proibire questo, vietare quello, rimediare a quell’altro, e in questo
vortice di contraddizioni non ci rimane che rinegoziare i termini del più
antico baratto: se fai, se vuoi, se studi, se mangi, se dormi: puoi avere, puoi
fare, puoi andare…. Ho l’impressione che tutta questa nostra incoerenza non fa
altro che travolgerli, renderli deboli e ingenui al cospetto di questo mondo
che si finge semplice e raggiungibile, ma che in realtà è difficile e spietato.
Ma mi sono persa di nuovo, avevo avvisato che sarebbe successo.
Tornando al Babbo
Natale della scuola, un giorno anche questo aiutante smise di arrivare. L’Italia
tutta comunicò ai cittadini di essere in dissesto. Il sindaco si trovò
costretto ad inviare una e-mail al Polo Nord con la quale fece disdire tutti
gli ordini da li agli anni avvenire. E non con poco dispiacere. Ai bambini di
oggi tanto vale dire la verità. Sanno bene cosa sia la Crisi. Che se il loro
babbo è a casa, mentre la mamma è a lavoro, è perché la crisi ha fatto chiudere
la fabbrica del babbo e la mamma ha dovuto triplicare gli impegni. Ma che per
questo è sempre stanca e arrabbiata non lo capiscono, non possono farlo, sono
bambini, in fondo al cuore. E la mamma è
sempre la mamma, l’unica persona al mondo che si odia con la stessa intensità
con cui la si ama, ma della quale in nessuno dei due casi si riesce a fare a
meno.
Il vero problema, siamo noi grandi, noi che sappiamo e non
accettiamo. Che urliamo e inveiamo, che parliamo a sproposito, pretendiamo, colpevolizziamo,
attacchiamo, come solo i grandi sanno fare.
Ma è davvero meglio questo Babbo Natale di oggi moderno e
organizzato con l’iPad o quello di ieri, che quando non riusciva, al mio paese
mandava la Befana?
A me piace ricordare quel periodo con affetto, senza per
questo entrare a far parte del club di “quelli delle rimembranze”. Non sono di
quelle persone che iniziano a parlare a ritroso. Mi piace camminare e amo farlo
con il sole in faccia, sempre in avanti. E poi il Babbo di oggi mi sta pure
molto simpatico. Mi piace proprio tanto il suo pancione pieno di allegria. Quello che un po mi manca è la magia che c’era nell’aria la sera dell’arrivo
di San Nicola o il giorno dell'arrivo della Befana a scuola. Mi mancano i tempi del regalo unico, anche se allora non
l’avrei mai detto. Quella strana Befana, che portava le bambole nere dai vestiti brutti e dai capelli corti. E si, ci si chiedeva il perché, ma infondo non importava, tanto si
giocava lo stesso, mica si aveva paura. Ecco mi manca la favola. Quando anche una
bambola nera vestita di stracci poteva indossare un bel vestito e diventare con
la fantasia una principessa in cerca del suo principe…e magari anche lui nero e ricco e bellissimo e forse chissà, con tanta fortuna, futuro presidente degli Stati Uniti d’America.
Dopo tutto mi sa che le Favole esistono ancora è solo che amano confondersi con la realtà!
Buon Natale a Tutti
A Black Doll
For Christmas
When
I was young, which was not so long ago, in my little village, in southern
Italy, there was no tradition of Santa Claus, or rather, if there was, it was
not like the one of nowadays, who flies around the world and visits children in
their homes, with grandparents, great-grandparents and uncles included.
Santa
of my childhood was a very old man, very inattentive and confused, but he was
always a happy man, with a smiling mouth, even if his head was always in the
clouds. Certainly he never seemed to age. The big, prominent round belly, the
nose always red because of the cold, and perhaps, said quietly amongst us, from
a drop or two. His dancing memory was better than his ability, it swung better
than the Estonia’s swings in the fantastic pavilion at Expo 2015.
This
Old Santa hardly remembered any of the children from my little village. But
that wasn’t a problem for the children, me included, because for all of us at
school our special Christmas visitor, came as “The Befana”. (That is a witch but a good one. Usually she
came on the 6th of January, and it is a tradition strictly connected
with the epiphany).
Often
it happened during the last day of school before Christmas holidays, and she, like
a good lady, organized and meticulous, did not forget any of us. She used to
check the lists of the city hall and those were always very precise.
But
the strangest thing was that she was not a real “Befana”, or rather, she wasn’t
dressed as a witch, all wrinkled and riding her broom, no, not at all! No, she
was something else. Often, due to her many commitments, it was not even her that
came, but she delegated that to someone else. Sometimes she was helped by the
mayor himself. Other times she sent a ticket, with a code, delivered by people
known to us children. They did not come from the North Pole, but they lived
much closer to us, someone in our own homes. The ticket was very precious, because
it contained a number or an alphabet letter, which was always associated with a gift. Always!
It
may seem a bit 'funny, I know. It will be said: “but so, why was she called
Befana? I really don’t know why. Her name was just that! And frankly,
heretofore, I have never asked myself why, nor have I ever worried about her
strange guise, or her early coming.
Her
gifts rarely saddened us. For us girls there was often a doll, and to the boys
a remote controlled toy car, but also games such as sapientino, monopoly and
coloured building blocks. For myself, I always
had dolls. But to be clear, they were always special dolls, every time different
from each other. One year, I do not remember if it was in the third grade of
elementary school, the “Befana” sent me a pink painted ticket, with a slightly strange
code, that indicated a very special doll. Even if "special", it was not
exactly my first thought .
It
was a Black doll. Black I said. Well, I mean dark, milk chocolate colour, not the
dark one that I better like. I had never seen a doll like her, before then. Honestly,
maybe I had never seen anyone of that skin colour. In the classroom, between the
classmates there were the satisfaction surveys on the gift received. Now, as it
often happens in these cases, especially among children, the other dolls present,
are always uglier or more beautiful, but never the same as ours.
Only
once at home, away from the eyes of gossips, that gift became special, as best
memories to which we give value only with the passing of the time. As I said,
Santa was a bit distracted and could not reach all the world children in one night.
For many of us then, that of the school was the only Christmas present! Most
important for us Santa Claus was the old dearest Saint Nicholas. He came during
the night between the 5th and 6th of December, and he
sneaked into the houses of all the children of the village with his sack full
of gifts, but, you know, they were not common gifts, as you could imagine, he
brought us hazelnuts.
Of
the way he did this entry, there are several versions, but certainly he didn’t
damage doors or windows. He left gifts in old shoes that we placed behind the
house doors several days before his arrival, and before going to sleep that
night... guys how big was the emotion, the heart went wild with the excitement,
for that waiting. And I really don’t think it was as much as the gifts, but
more for the magic, for the enchantment of that night. It was this sensation that
made us really happy. St.Nicholas did not bring us toys, he only gave us hazelnuts.
But they also became a game, of which we were very fond: the game was named castellucci. We made many little towers
with hazelnuts and then, in turn, with the same hazel we pulled toward the
tower of the adversary, trying to break his castelluccio
down.
Whoever
succeeded in their throw, added their adversaries hazelnuts to his, increasing
his hoard. We played in that ways until one of us was left without nuts, which
meant whole days of battles. Inside the
shoes sometimes there was a chocolate, a nougat or a susumella (a traditional Calabrian chocolate and honey biscuits) and,
rarely, a banknote, but only if we were really, really lucky. Then, it was no
problem if, as often happened, your parents asked you for that money, in
advance on spesucce, the household
expenses, promising you to give it back as soon as they could. Because, when
there was need in my home, parents often came to ask us casually, if we had
saved up a little bit of money. And we were very happy to show them our loot,
because we always had a little of something. The promise, of course was to
repay the loan as soon as possible, which could be immediately or it could slip
away and get lost with time. But, we did not care much because at that time,
you know, and only at that time, we were considered as adults, and the small
contribution made us feel really important to the family. Once it was quite
easy to deceive children ... try to do it now, try to do now a thing like that?
Just
thinking of the memory of that night made me feel excited, but most of all,
what excited me, is the happiness of my two sons. Their eyes sparkling on that particular morning,
every 6th of December, when they wake up at dawn to check their
shoes, left outside the door for the arrival of St. Nicholas which of course,
still brings the gift of shoes, hopefully full of hazelnut, not only of that,
but I am aware of the waning of tradition with the passing of the time.
It
saddens me a bit, to know that soon their joy will disappear, but in a corner
of their souls I hope they will always save the excitement of this magical
night. Alas, unfortunately, in the stages of life, the time dedicated to fairy
tales is too short, and even if I try to make them last as long as possible,
I’m aware that soon I will have to let them go.
As
I said, before losing the thread, for the first time, I already know it will
happen again, for that Christmas my personal “Befana” brought me a doll as a
gift, (I often use this expression,
because in Italian it is a verse of a very common poetry, Portò una bambola in
dono) a Black Doll. Of course the surveys of mates proclaim that my gift
was the worst of all. In those moments, there was no other chance left than to
swallow up, one after another the Magoni (the
desire of crying along ones throat) clutching my throat and pretend
indifference. I threw the doll into my school bag and I hoped to return home as
soon as possible, for only on my own could I reflect on the question, and let all
the tears stream down as they were rising from my belly. (??)
Trying
to give myself some explanation: “Maybe I had been very bad.” In fact, I wasn’t
as good as in other years, and St. Nicholas too, with the hazelnuts left also a
charcoal. Certainly they both agreed to give me an exemplary punishment. After I
swore to myself to be better in future, I took the doll from my school bag and
watched her carefully, and what a great surprise... she did not seem so bad.
Her eyelids opened and closed by themselves as soon as I gently touched them with
my fingers, and it was just so magic. Her eyes were black, sad and shiny, as tears
wanting to be held. Of that sadness, which was at that time also mine, I fell
in love instantly.
Despite
her strange colour, I realised that I loved that doll indeed.
My
mother, she was a little surprised too, but she immediately suggested to me, to
sew a new dress for her. And so, taken with new enthusiasm, I began to work for
the renewal of her poor wardrobe. I spent the carefree days of that Christmas
holidays between needles, threads and colourful clothes. I was always together
with my new friend. Although, over the years I gathered others dolls, she
remained in the basket where I kept my toys, in her majestic, composed clean
and composed colourful new clothes.
I
carried her with me everywhere, in my arms or in a wooden baby carriage that my
father built just for her. Maybe that was one of the few times I've ever played
with a doll, and not just simply destroyed her body as I often did with the
others. Even my brother’s remote controlled cars, were saved by the arrival of
my special Black doll.
But
despite the love I felt, I never gave her a name.
In
truth I've never been good in choosing names. Naming things makes them known
and therefore less mysterious, then it makes them yours forever, and I've always
had a bit of problems with things that last forever. There is only a thing that
will last forever, but at that time I did not know yet. But there was also
another reason, all the possible names sounded so strange to me, as they all
seems not suitable for her. I was only a child of seven years, I didn’t know
yet the musicality of languages of the world, their originality, imagination,
nor did I know the nuances of the colours of the people around the world. What
my reason as a child did not understand, or rather did not accept, was not referring
to her colour, or the fact that I could not give her a name, but her aspect,
how she look? Her hair and her dress: why were they so ugly? Because, I'll tell
you my friends, they were really, incredibly ugly. The dress was almost a rag, it
was checkered white and blue like those Italian taverns tablecloths, lost in a
time that will never come back, poor in mind, even of the most remote futuristic
desire.
Other
dolls, I mean the "blondes one", they were always well-dressed,
princess dresses, veils of tulle embroidered and pompous, long and blond hair,
beautiful to comb, to wash, to style with soft bristle brushes. My doll instead,
had short blacks hair, curly or to best say, frizzy, impossible to comb or style.
They grew up on her head in a somewhat messy manner. And even if her face was
beautiful, with a wide and large forehead, black large and sparkling eyes, her
hair continued to be a beautiful disaster.
To
the dress, as I said, my mother and I, remedied immediately. At that time, but not
now, I considered myself a pretty good seamstress. Cut the cloth, measured, by my
expert eye on the doll, it come out a dress, if not perfect, well, composed.
Red, were her lips, that I even made more brilliant with my pens, sleeveless,
because it was easier to sew, and very, very long. But she also needed underclothes,
because my mom used to say that back and baby’s bottom are always to be covered
for the good health. The panties were what I did best, shirts a bit less, but it
is better to be poorly dressed and clean than dirty and barefooted. I realized
several outfits for my doll, so that I could change her often, as the most
beautiful of princesses.
But
that hair... how incomplete things, that stand in front of you just to give you
the torment, they remained my despair.
I
was itching by the desire to style them. I found that hair bands suited her very
well, so I sewed many bands of different colours, matched with her new clothes.
But no, I was not satisfied: I wanted to comb them!
So
I decided to try. Alas, her curly hair immediately turned into a frizzy wool, impossible
to see. But above all, impossible to replace, I was worried, because I ruined
her. So I improvised myself as an hairdresser. Me, a disaster with my hair, me,
that never knew how to put together two strands, I made a horrible haircut that
made her hair very short. Suddenly I lost the scissors control: my black
princess was a princess with no more hair.
I
owned a black doll, with fabulous clothes, but without the hankered beloved hair,
forced to went out with a kerchief on his head.
My
mother was always so fine, she found this kerchief very stylish. But I
perfectly knew what it was hiding and I wasn’t happy to have given the vent to
my hands. Nevertheless I didn’t left my doll on her own after having defaced
her. I didn’t disjoint her of its valuable parts as I did with the others.
Maybe she is still in some boxes around my parent’s house, as my mom has the
mania to preserve everything. Sometimes,
my brothers and I, see her pull out some archaeological childhood that we
buried in corners of our memory made impassable by the time: my mother, I know,
she own hideaways everywhere in the house!
The
black doll is the only gift of that strange Befana that I can still remember
today. This could give you the importance she had for the baby girl I was. And
maybe, but without absolute certainty, her arrival in my life has led some of
the choices made in the early years of my youth, I’m quite sure that after her
the world has become less alien to me. But only Freud could say if there is a connection
between her and what really happen in my future.
Today
it is not the same. The Befana does not come during the last day of school, the
mayor does give her any aide. It is no even longer a code somehow delivered.
For several years she has been replaced by one of the many Santa's helpers who,
like the original, was dressed in red and wearing a fluffy white beard.
This
novelty caused considerable perplexity among children, get used to receive
gifts from the real Santa, the only one that came with his beloved reindeer
sleight during the night of the twenty-five of December, the same who become
more careful. Maybe it started a memory treatment, because today he forget very
few children, nay, I would say no one anymore. He must have bought an iPads, sure
he holds an agenda well organized by goblins, with all the world's time zones.
Not only that, he also receives letters, preferably e-mail, directly to the
North Pole, thereby he can satisfy every request... well, you know, almost
always, when he can’t, he try to get as close as possible to the children
desire.
The
question now was always one, and it was quite embarrassing: mom, dad, but what
is the real one?
Help!
I believe that in making the world easier for everyone, we made our life harder than ever. And tales, my
beloved tales in this world do not seem to find any space. Simple, sure is
nice, simple is definitely better, simple is certainly nothing for us, modern
parents.
The
relationship with our children has become a continuous trudging on a road that
runs too fast, and where we are for the first time. You try to keep for them a
little of magic, but at what price? It seems that anything is enough. Though there is so much
around us!
At
the end you find yourself to forbid this, ban that, remedy to the other, and in
this whirl of contradictions we have no other chance than renegotiate the terms
of the oldest barter: if you do, if you want, if you study, if you eat, if you
sleep: you can have, you can do, you can go. I suppose that all our
inconsistency does nothing but overwhelm them, make them weak and naive in face
of this world that pretends to be simple and accessible, but that really is
hard and ruthless.
But
I got lost again, I warned you this would happen.
Back
to Santa Claus, one day even this Santa’s helper stopped arriving.
Italy
government communicated its citizens to be in a bad disruption. The mayor was
forced to send an e-mail to the North Pole with whom he cancel all the orders
from them to years to come. And with no little regret. Today's children it is
well to be honest. They know quite well what the crisis is. That if Dad is at
home, while Mom is at work, it is because the crisis has closed the factory of dad
and mom had to step up her commitments to get right with the household income. This
is why she is always tired and angry. But if they could understand crisis, they
could not understand this statement,
they are ever children at heart. And mom is always mom, the only person in the
world that you could hate with the same intensity with which you love her, you
know in your heart she is the only person you can’t do without.
The
real problem, are we, the adults, we know all the things, we know about crisis,
we know about the changing but we do not accept anything. We scream and we
inveigh, we speak out of turn, claim, blame, attack, as only good adults could
do.
But
the question is: is this modern Santa Claus really better or it was better the
one of yesterday, the one that when he could not, in my village sent in his
place that strange Befana?
This
is a question with no reply in my own. I like to remember that time fondly, but
without joining the club of "those of Remembrance".
I’m
not of those people who start talking only about the past experience. I like
walking and I love having sun in my face, always forward, never backward. And
then, Santa of nowadays is very nice and amazing. I definitely love him. I
really like his big belly, full of cheerfulness.
What
I really miss of the past is a little of the magic that was in the air, such as
the evening before St. Nicholas arriving, or the Befana’s day at school. I also
miss the days of only one gift, but be sure, at that time, I would never have
said this.
I
miss that strange Befana, who brought black dolls by ugly clothes and short curly
hair. And yes, we wondered why, but at the end there was not matter, because we
played the same, and we were not afraid of the different ones.
So! In short, I realised in this
self-contradictory story, that in the deepest of my soul I only miss the tale.
That
wonderful time when, even a black doll, dressed in rags could wear a pretty
dress and become a princess. Sure with a lot of imagination, and she could go
round the world, looking for her charming prince, and maybe she realized he was
black too, and rich and really beautiful.
And
maybe, who knows, with lot and lots of luck, he would be the next president of
the United States of America.
After
all, I know, or I am quite sure, that fairy tales still exist, but they love to
get confused with reality!
Merry
Christmas to All