venerdì 3 giugno 2016

La Cantastorie di Calabria





La prima volta che incontrai Francesca Prestia  fu ad una cena musicale organizzata da Angela Crudo e dalla sua Accademia Musikè, a Vibo Valentia.
Sulla spalla, delicato come un Sari, indossava il Vancale Calabrese, indumento prezioso e raffinato che, in varie tonalità, accompagna sempre la nostra cantastorie nelle sue esibizioni; in mano la chitarrina battente e, una voce roca, che quasi sembra tradire un raffreddore appena passato.
Bella e sorridente, nel suo modo di parlare chiaro e coinvolgente, ci racconta subito un aneddoto, sfatando uno dei tanti stereotipi attribuiti ai calabresi: “quando vado in giro per l’Italia con le mie storie, tutti si aspettano di trovare una donna scura, non proprio alta, né tanto bella e, certamente dalla corporatura generosa. (“composta” avrebbe detto mia nonna che non amava sentirsi dire di essere robusta o generosa).
Francesca Prestia infatti non è nulla di tutto ciò. E' una donna elegante, di bella presenza, ma diciamo pure bella e basta, bionda e, decisamente non “composta”. 
Al momento di cantare, la raucedine sparisce e, ogni parola, ogni nota della sua chitarrina ti lascia impressa un’emozione.
Sapevo già che un giorno avrei scritto di lei e già quella volta presi i miei veloci e disordinati appunti. Ora eccomi a cercarli tra le tante note del mio iPhone. Oggi come allora a rivivere gli stessi pensieri e le stesse emozioni. 

Francesca Prestia canta la Calabria che nemmeno i calabresi conoscono, figuriamoci chi calabrese non lo è. Frantuma gli stereotipi e racconta le verità che mai nessuno ha voluto davvero ascoltare. 
“La storia andrebbe riscritta", dice Francesca, "e ce ne sarebbero di cose da cambiare”. Ma, senza recriminare: lei con la sua arte costruisce e non smonta nulla, se non le conoscenze. 
La Prestia è una che studia, che rispolvera lingue sepolte, che scava nella memoria di chi ancora ricorda. La storia dell’Italia è partita dalla Calabria, certo. E certamente i calabresi hanno dato il loro sangue per una terra che sempre più spesso li rilega ai margini. Eppure, di autori che hanno cantato la Calabria ce ne sono tanti. Penso solo ad alcuni, Corrado Alvaro, Saverio Strati, Mario La Cava; penso al cinema, alla musica. Quanto ha avuto la musica dalla nostra terra? Mia Martini la sento vicina in questo mio racconto, perché in qualche modo mi fa pensare a Francesca.
Attori, scrittori, uomini di successo e di coraggio, che spesso, per necessità, sono dovuti andare via. Ma, come diceva Pavese... “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". Sono certa che ogni calabrese sa, cosa voleva intendere il grande Pavese. Ma tra i tanti che vanno via, c’è chi sceglie faticosamente di restare; chi sceglie il nuovo partendo dal vecchio, chi guarda avanti e si muove, tornando sempre dove tutto è partito. Come fa la cantastorie di Calabria. 
Ovunque ci sono problemi. Ovunque c’è qualcosa che andrebbe meglio se solo si…
Ma diciamoci la verità: è ora di smetterla con questo continuo compatimento! Questa cosa di guardare il bicchiere sempre mezzo vuoto. Questo buttarsi indietro per paura di andare avanti.  Oggi siamo cittadini del mondo. E in questo mondo prima di tutto siamo europei, poi italiani e poi, calabresi. Bisogna iniziare a farci l’abitudine, a ragionarci sopra in modo costruttivo. Ognuno di noi fa parte di questa grande e variopinta popolazione universale, ed è una cosa meravigliosa esserci, ognuno di noi con il proprio contributo.
Il vero pensiero allora è: se solo io… facessi, fossi, iniziassi, provassi, costruissi, inventassi. 
Ma torniamo a Francesca Prestia e alle sue storie cantate, altrimenti so già che mi perderei troppo in fronzoli.
All’Accademia Musiké ha cantato diverse ballate non incluse in questo straordinario cd, ma mi auguro che entreranno a far presto parte di un altro.
Ricordo con gioia la rivisitazione della celebre opera di Ruggero Leoncavallo, “Pagliacci” che viene cantata e cuntuta dalla cantastorie con le parole del dialetto di Montalto Uffugo. Leoncavallo si ispirò ad un fatto accaduto realmente nel paese cosentino, un episodio cruento che dovette rimanere particolarmente impresso nella giovane mente del compositore. La Storia di Nedda cantata dalla Prestia, lascia dentro una sensazione di affanno e felicità insieme. Come quando la tristezza della fine si mescola alla magnificenza del risultato. Chi conosce l’opera, soprattutto nella versione in cui il grande Pavarotti interpreta Canio, il pagliaccio tradito dalla moglie Nedda, sa di cosa parlo.
Ispirandosi al Racconto di Corrado Alvaro "Il ritratto di Melusina" la cantastorie di calabria compone una tarantella, dal titolo "Comu L’ortica e u Boccaleona. Racconta la storia di Melusina, una giovane che vive ormai quasi sola, in un paesino di montagna, tutti ormai sono andati via, emigrati in cerca di un futuro migliore. Melusina viene ritratta controvoglia da un pittore di passaggio, che vedendola rimane profondamente colpito dalla sua bellezza. In un tempo in cui per le donne era sconveniente mostrarsi persino in foto: “ccu l’occhi chiusi, i mani accoppati, stacisti ferma e iddhu guardava”. Con occhi chiusi, e mani nascoste, sei rimasta ferma mentre lui guardava. 
I testi che arricchiscono il cd sono davvero preziosi, in alcuni casi come per le ballate in grecanico sono davvero fondamentali.

Il grecanico è la lingua che più di tutte alimenta il nostro backgrund culturale, è la lingua della Calabria greca, ciò che rimane di vivo del nostro essere stati greci.
I AGÀPI PIRÌA TU THIÚ tratta dal "Cantico dei cantici" di Re Solomone, curata da Salvino Nucera, è la canzone che più ha scosso le corde del mio cuore. Perché in fondo siamo tutti un po’ romantici, ma forse io lo sono un po’ troppo.

Francesca ha cantato questa canzone con Roberto Vecchioni, la prima volta che ne ho sentito un breve estratto sulla sua pagina Facebook ho sentito che dovevo assolutamente trovarla da qualche parte, non sapevo ancora che quel momento sarebbe arrivato proprio qui, a Lamezia, alla Libreria Tavella, dove ero già stata qualche anno fa per incontrare Silvia Avallone, e Dacia Maraini.
Roberto Vecchioni che canta in grecanico con Francesca Prestia, lei che racconta del come è avvenuto l’incontro e la gioia la vedi ancora, perché si intuisce dalle sue parole. Canta di nuovo per noi che siamo venuti a sentirla, e sullo sfondo insieme alle parole e agli accordi scorrono le immagini che nell’arte hanno celebrato l’amore: amore e psiche del Canova , Apollo e Dafne del Bernini, Klimt e il suo celebre bacio.  Ad un certo punto Vecchioni si mette a ballare intorno a Francesca. Aveva visto L’amore, ci racconterà lei dopo, con gli occhi scintillanti. Perché per cantarlo, l'amore, bisogna soprattutto sentirlo.

La Calabria è stata una regione aperta e Multietnica molto prima che lo fosse l’Italia intera. Penso agli Arabi della cui lingua e cultura conserviamo molto nella nostra quotidianità.
Alle comunità albanesi dell’alto cosentino, gli Arbëreshë. Francesca Prestia ha promesso che presto la sentiremo cantare in questa lingua. E poi vuole studiare anche lo Yiddish. Ve l’ho detto che è una che studia sodo.

Ma la nostra Cantastorie non canta solo il passato. Il femminicidio è un tema che le sta molto a cuore ne parla già nella storia di Leoncavallo e torna nel presente con la Ballata di Lea, dedicata a Lea Garofalo e a sua figlia Denise.
Il bello di questi incontri arriva quando lei inizia a raccontare i retroscena, da dove arrivano e come nascono le sue storie, sono anche e soprattutto questi piccoli segreti rivelati, che rendono ciò che fa ancora più affascinante. No smetteresti mai di ascoltarla raccontare. La nascita della ballata di Lea, è dovuta alla lettura di un piccolo trafiletto sul giornale: “Sognava l’Australia”. Dal giornale dunque apprende la storia di Lea Garofalo, della sua lotta contro la famiglia mafiosa e, della sua terribile fine. Immediata è la necessità di scrivere. La storia di Lea entra a far parte di un progetto del Miur che la Prestia porta in giro nelle scuole italiane, affinché tutti, soprattutto i più giovani possano alimentare con il proprio contributo la cultura dell’antimafia. Con La ballata di Lea la cantastorie capisce che il suo contributo può andare oltre la trasmissione del passato, anche il presente, può e deve essere raccontato.
Non solo Lea Garofalo dunque. Partendo dalla lettera della collaboratrice di giustizia, Giuseppina Pesce, alla figlia Angela, la cantastorie scrive e dedica a questa donna coraggiosa una ninna ninna tradizionale calabrese, dal tono struggente, parole che solo una madre che per i figli darebbe l’anima può intendere.
Il presente torna ancora nella ballata Mare Nostrum, canzone che da il titolo anche al disco. Ancora una volta uno dei grandi problemi del nostro secolo. Forse è proprio qui in Calabria, che più di ogni altra regione, noi ci sentiamo Mondo. Chi approda sulle nostre coste come Nijat, la protagonista della canzone, questo lo sa. Noi ancora non lo abbiamo capito. Per Nijat e per molti come lei, noi siamo il mondo, la salvezza, la speranza. Noi che ci lamentiamo di tutto e che abbiamo tutto, noi che siamo il loro Tutto e che diciamo di non avere mai niente.
Mare Nostrum nasce dall’incontro di Francesca Prestia con questa giovane donna Etiope. Nijat, racconta la difficile storia della sua fuga. Francesca le chiede come abbia potuto resistere a tutto ciò che ha vissuto. E Nijat risponde con una frase semplice, sussurratale dalla madre al momento dei saluti, gli stessi che in gola lasciano l’amaro degli addii: Ezi win yihalif! Ezi win krwiew yu! Tutto passa! Tutto Passerà!
In fondo è sempre così. Tutto passa. Anche per chi è meno fortunato di Nijat, anche in questo Mare Nostrum, tiepido e caldo, che sempre più spesso si macchia di atroci sofferenze. Tutto passerà, forse, chissà.
È difficile continuare, soprattutto se mentre scrivi la mente ti propone le immagini delle carrette degli ultimi giorni. Ti sembra quasi di vederla Nijat in mezzo alla sua gente; ti sembra di poter dare una immagine ad ognuna delle parole che compongono il testo di Mare Nostrum. Ed è difficile, davvero, continuare.

Saranno passati tre anni dal nostro primo incontro. Di strada in questi anni la nostra cantastorie ne ha fatta tanta. L’ho sempre seguita sulla sua pagina Facebook e ho sempre gioito dei suoi piccoli successi. 
Ci siamo incontrate dal vivo altre volte e ogni qualvolta so di una sua esibizione in zona non perdo mai l’occasione di andare ad incontrala. 
Il 16 Maggio alla libreria Tavella a Lamezia Terme la gioia è stata ancora più grande perché ho avuto il piacere di portare a casa con me il suo primo Cd. 
Oggi canto anch’io in una lingua che non conosco. Eppure sembra cosi semplice. Come se esistesse già dentro di me.
Pòsson Isson Pìszilo, fìlimu, pòsson pìszilo!
La musica riecheggia per la casa. Dalla finestra aperta prende il volo, sembra di vivere sospesi a mezz’aria, in un tempo che ora non c’è più.
Ed è affascinante. È una musica che ti alza la pelle, una voce che ti vibra dentro, scivola dietro la nuca, dove tutto ha origine e fine.
Pòsson isson pìszilo,
fìlimu, posson pìszilo!
Pòsson isson pìszilo,
Agapimmènomu, posson isson calò!
Alìthia, glicìa, plenglicìa
Tu crasìu ene ta chilisu.
Sìremu apìssusu, trèchome!
 Siremu apìssusu, trèchome!


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